Come posso ricordare un caro amico?
Interviste di Fiorella Tacca
La scomparsa di Renato Volpini. Lo ricordano gli amici Gino Di Maggio, direttore della Fondazione Mudima, Guido Peruz, artista e suo principale collezionista e il pittore Valerio Adami, che insieme a lui espose nella celebre galleria di Giorgio Marconi a Milano.
Il ricordo di Gino Di Maggio, direttore della Fondazione Mudima per l’arte contemporanea.
“Renato aveva un’energia straordinaria: era simpatico, generoso, un signore.
Per farti capire il suo intuito umano, la sua intelligenza, ti racconto di lui e di Lucio Fontana, suo grande amico.
Fontana si lamentava che non vendeva nulla, e a Renato, per aiutarlo, venne in mente di presentargli un ragazzotto siciliano, che girava vendendo grafiche e che, a suo dire, prometteva bene: Salvatore Ala.
Il futuro gallerista internazionale, punto di riferimento fondamentale per il sistema dell’arte per quarant’anni, si recò da Fontana, che gli fece qualche domanda e ne ascoltò i commenti alle proprie opere. Dopodiché gli chiese dove avesse parcheggiato la macchina, lo mandò a prenderla e insieme vi caricarono dieci o dodici tele, che Salvatore vendette subito in Veneto. In seguito tenne per sé Fine di Dio, credo la più bella della serie. Renato era geniale nel capire le qualità della persona che aveva davanti.
Come artista ha sempre prodotto opere di altissimo livello. La sua testa era sempre in progress, non ha mai smesso di fare ricerca nemmeno negli ultimi anni: i suoi paesaggi tecnologici con interni del computer sono strabilianti, sembrano fatti da un trentenne.
Aveva un rapporto con la tecnologia immaginifico. Come stampatore fece per me tante grafiche dei migliori artisti, che a volte mi dimenticavo della sua arte: “…una mostra di tue opere? Ah già che anche tu sei un artista!”
Nel 2007 venne qui in Mudima, per altri motivi, il direttore di una delle Fondazioni d’arte più importanti di New York. Notò subito una tela di Volpini, più di due metri per due, che gli diede una martellata sulla testa: “E’ straordinario, chi è? Perché non l’ho visto prima?”.
Il ricordo di Guido Peruz, artista e collezionista.
“Ho conosciuto Renato Volpini a Bolzano, dove abitavo, in occasione di una sua mostra alla galleria Goethe.
Renato negli anni Settanta era grande frequentatore di Bolzano e dell’Alto Adige. Ci incontravamo spesso, oltre che a casa mia, al Turm di Fiè allo Sciliar, dall’amico Carletto.
Ho sempre amato e considerato il suo lavoro e mi è capitato di acquistare molte sue opere, dei veri capolavori.
Come non ricordarlo, non solo come artista, ma per la sua simpatia, per il suo modo di comunicare.
Volpini artista: pittore, incisore, grafico, stampatore, sempre artista.
Renato ha rinnovato in Italia il modo e le tecniche di fare grafica. Grafica intesa non in maniera riproduttiva, ma creativa. Era conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.
A lui il privilegio di realizzare, unico in Italia, un lavoro di Andy Warhol, il ritratto di Man Ray, e le più belle opere grafiche di Baj e di Rotella.”
Il ricordo di Valerio Adami.
“Renato è stato un amico fraterno, un artista che ho stimato molto e un artigiano senza eguali.
Io e mia moglie Camilla abbiamo sempre vissuto all’estero o in viaggio in America, in Europa, in India.
Tuttora viviamo a Parigi, solo d’estate torniamo nella casa di Meina, sul Lago Maggiore. In Italia abbiamo dunque vissuto poco, ma gli anni Sessanta a Milano sono stati anni straordinari, indimenticabili.
Io e Camilla frequentavamo l’Accademia di Brera, dove mi diplomai nel 1955. Sotto la guida di Achille Funi disegnavamo tantissimo, a volte intere giornate.
Tutto per me iniziava dal disegno: il pensiero, la forma, la narrazione.
Anche per Renato Volpini il disegno, con una linea che era molto diversa dalla mia, la sua più sottile e rapida, la mia più densa, lenta e riflessiva, era il motore della ricerca artistica. Con Renato e con Bepi Romagnoni, altro fraterno amico, da Milano con la mia automobile ci recavamo sul Lago Maggiore, nello studio che io e mia moglie avevamo allestito a Villa Cantoni, ad Arona. Sul lago c’erano le condizioni ideali per vivere e lavorare insieme intensamente, condividendo la tendenza a superare l’informale per una connaturata volontà di narrazione. Poi alcuni critici e storici dell’arte scrissero che il nostro “realismo” era “socialista”, frutto di una ideologia, di un preciso pensiero politico, o ancora frutto di colte frequentazioni letterarie.
Ma per me, come per Renato Volpini, la figurazione, il racconto, furono qualcosa di molto libero, di molto spontaneo e assolutamente personale.”