I FIORI BLU Francesca Zoboli (parte prima)

I FIORI BLU Francesca Zoboli (parte prima)

 

 

Tra pochi giorni Formaprima inaugura la mostra personale dell’artista Francesca Zoboli I FIORI BLU.

Il progetto artistico, nato grazie a una collaborazione con la casa editrice La Grande Illusion, si completa con l’ideazione e la pubblicazione dell’omonimo libro, che riporta le immagini delle opere di Francesca insieme a un racconto di Giovanna Zoboli, sorella dell’artista, scrittrice ed editrice dei Topi pittori.

 

Il progetto mostra si è sviluppato da un dialogo proficuo tra Francesca e me, artista e curatrice: un confronto franco e aperto che ha fatto crescere, poco per volta, come una pianta, un’idea, una visione portandoci a intraprendere delle vie inaspettate e insolite.

Sono andata diverse volte nel suo studio per vedere i progressi del lavoro e approfondire i contenuti della mostra.

Varcata la porta d’ingresso, inaspettatamente si apre un giardino magnifico, punteggiato di piante fiorite. Come essere in piena campagna. Invece siamo a Milano…

 

Il 20 aprile sono stata là: abbiamo definito gli ultimi dettagli e registrato l’intervista.

Ecco cosa ci siamo dette…

 

 

 

 

Qual è la tua formazione?

 

Ho sempre avuto una passione per il disegno. Quando ho finito il liceo scientifico ho capito che quella era la mia direzione.

Mi sono iscritta a un corso di grafica, la Scuola Politecnica di Grafica e Design.

Era chiamata “la scuola di Munari”, aveva un’impostazione legata alla Gestalt, alle ricerche geometriche, alla cromatologia, alla teoria percettiva. Lì ho acquisito una cultura alla Bauhaus: il gusto e l’interesse per la geometria, per l’analisi del colore attraverso la sua scomposizione.

 

Infatti io mi chiedevo da dove venisse un’impostazione così grafica...

 

All’inizio del secondo anno della scuola di design mi sono iscritta all’Accademia di Brera e quindi ho viaggiato in parallelo su un doppio binario. Da una parte uno studio molto preciso, un po’ costrittivo a tratti – tavole e tavole fatte col tiralinee, colori piatti – mentre dall’altra, con l’accademia mi si è aperta tutt’altra prospettiva: lo studio della storia dell’arte, la teoria della percezione e l’estetica. Inoltre ho avuto un maestro di pittura fenomenale, Beppe Devalle, artista e insegnante grandissimo.

Sapeva disegnare benissimo e aveva una tale capacità di collegare tra loro le cose! Ci ha insegnato a pensare. La pittura non era solo mettersi a fare delle cose, ma collegarsi al mondo.

Ci faceva lavorare sul segno e sulla macchia. Stavamo intere giornate ad analizzare macchie tra di noi. Lui era rigidissimo: metà delle cose non andava bene e tu dovevi capire perché un segno funzionava oppure no. Non era facile. Anni dopo ho realizzato che questo metodo mi è servito per capire come fare il mio lavoro. Sapere leggere il proprio lavoro, questo è importante.

 

 

     

 

 

Per la mostra I Fiori Blu sei partita facendo variazioni di Iris su carta e pensando di volere andare nella direzione di una grande composizione, costituita di tanti frammenti. Poi abbiamo pensato che volevamo che fosse una cosa leggera, che conservasse il carattere aereo della carta e la leggerezza del colore. Io ho pensato alla struttura e tu hai avuto l’idea di incollare i frammenti sul tessuto: questa garza è parte viva dell’opera, non è un semplice supporto…

 

Infatti. Partendo dal principio, in questo progetto artistico ho utilizzato il fiore e la pianta dell’Iris come modelli figurativi. Lavoro pochissimo sul figurativo e quindi per me è stata una sperimentazione interessante. Sono partita da tavole botaniche. La tavola botanica per me è un tipo di iconografia affascinante perché è scientifica e quindi si libera di tutta l’emotività e l’espressività trasmesse, per esempio, da un iris di Van Gogh, dove c’è dentro lui.

La tavola botanica è fredda, ma ha delle raffinatezze: per esempio il fatto di mostrarti la pianta nei suoi dettagli, illustrati separatamente.

Successivamente mi sono messa a copiare i fiori veri però mi sono accorta che non aggiungeva niente al mio lavoro: mi interessavano delle forme che avrei potuto facilmente astrattizzare.

Ho anche seguito la modalità che è propria della tavola botanica di separare le varie parti della pianta per distinguerne le funzioni: così ho tenuto separati i fiori, le radici, le foglie. Questa cosa l’ho decisa subito: non volevo lavorare sul fiore intero ma sui suoi frammenti.

Infine ho voluto cercare un analogo espressivo del fiore: la scelta della carta, la garza, i colori dovevano riflettere la sua leggerezza.

 

 

 

 

Come definiresti la tua modalità di lavoro?

 

Il mio approccio al lavoro è un continuum tra casualità e controllo della casualità, fare, scartare, mettere, comporre. L’ultimo disegno è come se fosse passato attraverso questo filtro di consapevolezza della composizione. Questa necessità di “guidare” non ha lo scopo di arrivare alla cosa benfatta, anzi, ogni tanto il malriuscito è funzionale al mio lavoro.

Per esempio io ho bisogno di passare attraverso i frammenti e varie prove per arrivare al risultato che reputo essere concluso, però tutto quello che è prova non per nulla la conservo. Spesso rifaccio il lavoro per migliorarlo ma poi realizzo che è proprio la prova a funzionare bene: devo passarci per capirlo, è un modo di procedere.

 

 

     

 

 

Il punto di partenza del tuo lavoro sembra essere l’osservazione della natura, nella sua essenza organica. L’ispirazione fornita dalla realtà è evidente anche nelle tue opere precedenti, dove è presente anche il paesaggio, che poi tu riduci a composizioni astratte.

 

Quando riflettevo sul passaggio dall’astratto al figurativo di questo ultimo lavoro mi domandavo che cosa fosse successo. In realtà non ho cambiato molto della mia modalità.

Ho utilizzato delle immagini che sono identificate come figurative, ma parto sempre da una base geometrica, anche se non fredda e minimalista: la geometria mi serve come sponda su cui appoggiare la natura.

Ne I Fiori Blu la natura è identificata col fiore ma poi c’è tutto un lavoro a fianco che è la ricerca delle altri componenti: foglie e radici. In questo compare una dimensione narrativa che nelle mie opere precedenti non esisteva.

 

 

 

 

Perché hai scelto l’Iris?

 

Degli iris mi affascina la leggerezza, oltre al fatto che è una pianta fortissima.

L’iris è il re del giardino: la leggerezza del petalo, il colore cangiante, ci sono mille variazioni di blu e di viola. Queste caratteristiche del fiore le ho portate nell’opera attraverso elementi che non sono figurativi: il colore, nel suo modo di esprimersi non descrittivo, la carta e la garza.

Nella scelta della garza c’è anche questo: nella mia esperienza di pittrice io lavoro spesso molto in grande, mi trovo più a mio agio su superfici di grandi dimensione.

 

Come pittrice o come decoratrice?

 

Come pittrice sì, ma quest’attitudine viene probabilmente dal mio background di decoratrice di interni. Ho sempre superfici ampie di fronte: una parete è qualcosa di visivamente molto emozionante da vedere. E allora anche questi fiori, che nascono da tanti foglietti, alla fine formano una parete. L’idea della garza mi è venuta per risolvere un problema pratico, solo dopo ha acquistato una valenza espressiva. Ci ho pensato anche guardando le cartine geografiche, che sono un altro materiale per me meraviglioso!

 

 

           

 

Quando tu mi hai mostrato la prova del tuo lavoro, così perfettamente ripiegata, ho pensato immediatamente alla carta geografica e adesso tu mi stai dicendo che era proprio quello che avevi in mente! L’intuizione di “confezionare” un lavoro piegato in modo così bello e come se fosse una mappa mi ha affascinato.

 

Nella carta geografica, per sua natura, c’è proprio l’idea del piegare e del conservare una grande superficie in uno spazio piccolo. Per me che sono abituata ad avere il problema delle grandi dimensioni era una soluzione perfetta.

Quest’idea così mobile e così aerea della carta geografica che pieghi e porti con te la trovo affascinante! E mi piace anche molto questa stropicciatura del lavoro, la piega che si vede, il fatto che non sia rigida, che si vede che è carta…per me era davvero la soluzione.

 

La cosa stupefacente è che quando mi hai portato i lavori – una mostra intera – stavano tutti dentro a una cartelletta!! Questa  trasportabilità mi diverte tantissimo…

 

Infatti vorrei comprare o realizzare la valigia degli iris, per fare tutto un paccone…

 

 

 

 

C’è quasi una numerazione scientifica nelle tue opere, mi pare. Sono stata colpita da come hai catalogato i disegni con lettere e numeri e indicazione dell’ordine della progressione per l’assemblaggio della composizione…

 

Mi riconosco in questa osservazione sulla numerazione scientifica. La griglia cromatica è effettivamente la sponda non emotiva di questo lavoro, una sorta di estrapolazione del colore dalla pianta condotta con strumenti pittorici. Questo modo di lavorare, che è quello della scienza – cioè l’analisi per pezzetti – è quello che ho voluto usare per questo lavoro.

 

Usi carta e acqua nel colore: la materia non ti interessa…

 

E’ vero mi dà quasi fastidio: la materia fine a se stessa non mi interessa. La pennellata che si vede non deve solo essere segno ma condurre anche ad altro. Sono più per togliere che per mettere. Questo non vuol dire che uso solo acquarello e colori acquosi, a volte ho usato pigmenti più materici, come il bitume. Ciò che mi interessa è il gioco di equilibrio che si crea nell’associazione di vuoti e pieni, materia e non materia…Una cosa che caratterizza il mio lavoro è che il mio segno non è pienamente consapevole: mentre lo faccio non so neanche come sta venendo, perché uso cere bianche. Il segno appare dopo, quando ci dipingo sopra, lo ricavo attraverso processi di mediazione come la monotipia.

 

 

 

 

Che cos’è la monotipia?

 

La monotipia è un processo di stampa unico, da cui non si possono ottenere copie.

Utilizzo mascherine con la forma che voglio ottenere, poi imprimo il mio segno: il gesto è libero, ma controllato.

Prima c’è la preparazione del dispositivo e poi c’è il momento dell’azione che è quello che io faccio con l’acqua e le aniline e li agisce solo il caso. Può funzionare oppure no. Domare il caso e lasciarlo andare: la mia pittura è questo.

 

 

 

 

 

      

 

(continua…)

 

 

 

One comment

  1. Di grande interesse l’intervista all’artista Francesca Zoboli, che conosco e ammiro da tempo.
    Bellissime le immagini, sia delle sue opere, sia le fotografie.
    marcella denegri

    marcella

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