ALBANESI E LEONARDELLI: PAROLE IN SUPERFICIE (parte seconda)

ALBANESI E LEONARDELLI: PAROLE IN SUPERFICIE (parte seconda)

Leggere un’opera. Con Albanesi abbiamo parlato anche di questo, partendo proprio da una serie di suoi quadri “dedicati” alla figura di Napoleone e che saranno in mostra….

Qual è il vero soggetto di queste opere, se esiste…..

Questi tre quadri riportano nel titolo un riferimento a Napoleone. I piani per la battaglia di Waterloo, la battaglia di Waterloo, la sconfitta di Napoleone. Non è il vero soggetto delle opere: la figura del personaggio storico nelle tre composizioni funziona da “facilitatore”, da guida per lo spettatore, è un modo per prenderlo per mano. Avrei potuto anche chiamarlo “Cenerentola” ma naturalmente avrei dovuto inserire dei riferimenti. Se l’avessi chiamato “paesaggio” avrebbe funzionato perché c’è un orizzonte… Quindi la differenza tra un quadro figurativo e un quadro astratto è minima. A volte i quadri li capovolgo, perchè sono risolti meglio. In questo caso non potrei più dire “Napoleone” e neanche “paesaggio”. Direi…chessò…”combinazione”. Questo non per fare del cinismo ma per dire che la pittura vive, vive indipendentemente dalla sua interpretazione.

Sono d’accordo con te…

A me piace introdurre delle guide così la gente chiede, entra nel contesto e si creano degli aumenti di significato insignificanti, puramente strumentali. Se togliessi la figurina di Napoleone non succederebbe nulla. Questo perché la gente possa dire che anche nei quadri informali c’è una linea narrativa…. Si tratta di un pretesto…. Sì, è un facilitatore. Si usano nell’arte dei pretesti, ma sono solo quelli di matrice concettuale. Uno come Cattelan, quando spiega le sue cose potrebbe evitare di spiegarle, perché quello che dice delle sue opere non interessa a nessuno, non è neanche essenziale all’opera.

In realtà le opere concettuali richiedono – e questo è il limite secondo me – una spiegazione, perché è davvero l’idea che prende il sopravvento sulla forma grafica, ovviamente e non c’è un legame di necessità tra le due. Cioè non c’è una sola forma in cui l’idea si può calare. Quella scelta è solo una delle possibili e in molti casi la dimensione estetica è negata. E visto che grandi rimandi grafici ed estetici non ne hai non puoi ricavare da quello che vedi, minimamente, il significato, l’idea. Il significato va spiegato. Questo è il limite dell’arte concettuale, oltre al fatto che non c’è una gratificazione degli occhi…

Sì, anch’io la penso così. Un’immagine va compresa esteticamente. Esiste una specificità del linguaggio artistico. Gli addetti del mestiere si intendono subito sulla modalità di comunicazione di una immagine, così come due ingegneri di fronte a un progetto capiscono al volo se funziona. Così nell’arte. Fermo restando che tutti lo potrebbero capire, applicandosi…..

Io penso che quando un’opera funziona, esteticamente parlando, il guardare è sufficiente, il capire è accessorio. Credo che sia importante, quando si va a una mostra limitarsi a osservare le opere prima di correre subito alla “spiegazione”. Guardare facendosi delle domande. Ognuno di noi ha un bagaglio di conoscenze, di cultura, di esperienza visiva accumulata nel tempo che va attivato. Si guarda, ci si pone delle domande, si specula e così nascono delle idee: questa è la semina dell’arte. Può darsi che quello che ricostruisci del senso dell’opera non abbia nulla a che vedere con le intenzioni dell’autore ma non importa. Se il significato arriva troppo presto troppo facilmente perdi l’occasione di godere dell’opera, di farla entrare dentro di te…

Sono d’accordissimo con te. Tocchi uno dei tasti sui cui chi si occupa d’arte si divide. E’ un po’ il senso della mostra di grafica infantile dello scorso dicembre. Il discorso del rapporto tra la pura visione e la spiegazione è un rapporto tra linguaggio visivo e linguaggio parlato. Sono due linguaggi che convergono, naturalmente; possono coincidere, ovviamente. La Gioconda è un ritratto di donna, ma comunque l’immagine parla da sé. Le immagini parlano da sé….”parlano”, ovviamente in senso metaforico, però nella nostra cultura ciò non è accettato, perché le immagini nella cultura di internet, ma anche in quella dei giornali, ha sempre bisogno di una didascalia. Heidegger diceva che il senso della perdizione dell’occidente è avvenuto quando la realtà è stata trasformata in immagine della realtà. Ma la verità parla da sé, poi tu ci metti la didascalia che vuoi. L’immagine non ha bisogno del testo. La spiegazione è anche richiesta dal mercato, dalle esposizioni. Quello che dici tu è molto vero. Il rapporto tra un’immagine e lo spettatore è simbiotico, emotivo, passionale, lavorano i sensi, la pancia, l’intelligenza…ma è solo l’immagine che ti parla. Bisogna creare una cultura dell’immagine, mentre la cultura della parola ce l’abbiamo in tanti. L’immagine si appiattisce con la spiegazione, non ti entra dentro. Non te la ricordi. Non ne godi. Esatto, devi godere dell’immagine. Se davanti ad alcuni quadri non provi delle emozioni è anche inutile studiare la storia dell’arte. Se guardo la Gioconda, i due sfondi che sono alle spalle della figura, sono due particolari così belli che fanno emozionare, ancora più che il suo viso. Ho sempre provato delle emozioni così forti di fronte a questi scorci, che sono di una bellezza, di una emotività…mi ricordo che da ragazzo amavo isolare il particolare di sinistra, dove c’è questa stradina alle spalle della Gioconda e mi piaceva goderne, poi lo andavo a cercare negli altri quadri di Leonardo. Per esempio nell’”Annunciazione”, dietro all’angelo ci sono degli alberi in controluce, neri, che sono di una bellezza emotiva pazzesca… mi batteva il cuore, pittoricamente. Poi il volto dell’angelo è a sua volta meraviglioso, ma è un’altra cosa. Questo godimento bisogna provarlo.